La trifluoperazina per la terapia del
glioblastoma
LUDOVICA R. POGGI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 09 maggio 2020.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia).
Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società,
la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste
e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Il glioblastoma (GBM) è la neoplasia maligna dell’adulto con il più
alto tasso di mortalità. Nonostante alcuni progressi nelle conoscenze
sperimentali e nelle osservazioni cliniche finalizzate all’intervento terapeutico,
la prognosi non è migliorata di molto e tutti i pazienti soccombono in tempi
brevi. Il corrente trattamento standard prevede l’intervento chirurgico di
asportazione, seguito dalla radioterapia (RT) e dalla somministrazione del
chemioterapico antiblastico temozolomide. Con questo approccio, attualmente
considerato il migliore, il tempo di sopravvivenza nella mediana statistica
non va oltre i quindici mesi.
L’efficacia della chemioterapia e delle terapie mirate è molto limitata,
perché la maggior parte dei farmaci candidati non attraversa la barriera
ematoencefalica (BEE); così la RT rimane lo strumento principale per la
riduzione della massa tumorale. Kruttika Bhat e colleghi hanno studiato il
fenomeno della plasticità cellulare indotta dalla terapia radiante e lo hanno
interpretato come meccanismo di resistenza del glioblastoma all’azione delle
radiazioni. I ricercatori hanno indagato la possibilità di individuare una
molecola in grado di attraversare la BEE e capace di inibire la conversione
fenotipica delle cellule del glioma in cellule GIC (glioma initiating cells),
e hanno trovato queste proprietà nell’antagonista recettoriale della dopamina trifluoperazina.
Il farmaco, approvato come antipsicotico dalla FDA molti anni fa, è prontamente
disponibile e, visto che in modelli murini di glioblastoma è risultato in grado
di inibire la conversione fenotipica in GIC prolungando in modo significativo
la sopravvivenza, si ritiene che possa migliorare l’efficacia della RT senza
accrescerne la tossicità.
(Bhat K. et al., The
dopamine receptor antagonist trifluoperazine prevents phenotype conversion and
improves survival in mouse models of glioblastoma. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United
States of America (PNAS USA) – Epub ahead
of print doi: 10.1073/pnas.1920154117, 2020).
La provenienza
degli autori è la seguente: Department of Radiation
Oncology, David Geffen School of Medicine, Jonsson Comprehensive Cancer Center,
Molecular Screening Shared Resources, department of Molecular, Cell and
Developmental Biology, Department of Microbiology, Immunology and Molecular
Genetics, Department of Neurology, Department of Neurosurgery, Neuropsychiatric Institute – Semel Institute for Neuroscience & Human Behavior, University
of California Los Angeles (UCLA), Los Angeles, California (USA).
Kruttika Bhat e il nutrito gruppo di colleghi che include
Matteo Pellegrini hanno osservato che la RT associata alla chirurgia consente
una sopravvivenza di 6 mesi maggiore di quella che si può avere con il solo
intervento chirurgico, così come avveniva oltre vent’anni fa; dunque,
nonostante la vasta mole di studi oncologici, la terapia non ha compiuto alcun reale
progresso in un quarto di secolo. Da tempo si cerca di comprendere perché i
benefici della RT siano così limitati. Indagando in questa direzione, i sedici
ricercatori coordinati da Frank Pajonk hanno rilevato
che le radiazioni inducono lo sviluppo del fenotipo della cellula che
determina l’avvio della formazione neoplastica, o GICP (glioma-initiating cell phenotype), condizionando un peggioramento della
malattia che in parte vanifica i benefici della cura. Basandosi su studi
pregressi, Bhat e colleghi hanno presto concentrato la
loro attenzione su un antagonista dopaminergico candidato al ruolo di inibitore
dell’induzione del fenotipo GICP, la trifluoperazina.
La trifluoperazina,
classificata con proclorperazina, perfenazina,
flufenazina e tiopropazato
tra i farmaci antipsicotici fenotiazinici piperazinici, è chimicamente caratterizzata da una
struttura triciclica composta da due anelli benzenici legati da un atomo di S e
uno di N (nucleo fenotiazinico), e dalla presenza in
N10 di una catena piperazinica, che contribuisce al
conferimento di particolari aspetti della sua attività antipsicotica, prevalentemente
esercitata antagonizzando al livello presinaptico e post-sinaptico la
neurotrasmissione dopaminergica.
L’uso di un farmaco in un’indicazione
diversa da quella per la quale è stato prescritto per decenni presenta definiti
vantaggi, primo fra tutti quello immediatamente evidente di non richiedere le
fasi preliminari di studio e consentire direttamente la sperimentazione clinica
nella nuova indicazione. Si dispone, infatti in questi casi, di una
considerevole mole di studi, che hanno indagato anche aspetti dell’interazione
con l’organismo difficilmente ipotizzabili dopo la sperimentazione standard per
tossicità, dosi efficaci, farmacocinetica e farmacodinamica, in quanto emersi
negli anni dalla vasta casistica clinica di pazienti trattati in tutto il
mondo.
Bhat e colleghi hanno rilevato che
la trifluoperazina causa una perdita dell’espressione di mRNA Nanog[1] indotta da radiazione, e l’attivazione di GSK3 con la conseguente
riduzione dei livelli post-traduzione di p-Akt, Sox2
e β-catenina. Gli esperimenti hanno dimostrato che la trifluoperazina non
altera l’intrinseca sensibilità alle radiazioni delle cellule GIC (glioma-initiating cell).
Sono stati condotti esperimenti
anche su modelli murini di glioblastoma umano mediante xenotrapianto ortotopico
derivato da pazienti (PDOX, da patient-derived
orthotopic xenograft).
Il trattamento continuo con trifluoperazina
e una singola dose di radiazione ha ridotto il numero di GIC in vivo e ha
prolungato la sopravvivenza dei modelli murini singenici e PDOX.
L’insieme dei risultati emersi dallo
studio suggerisce che la combinazione di un antagonista recettoriale della
dopamina con la RT ne accresce l’efficacia nel glioblastoma prevenendo la
conversione nel fenotipo GIC resistente al trattamento delle cellule
neoplastiche sensibili alle radiazioni.
L’autrice della
nota ringrazia
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla
lettura delle recensioni di studi di
argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare
il motore interno nella pagina “CERCA”).
Ludovica R.
Poggi
BM&L-09 maggio 2020
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organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Il gene Nanog
codifica una proteina homeobox (NANOG) che
agisce da fattore di trascrizione implicato nell’auto-rinnovamento delle
cellule staminali embrionali e collegato a patologie quali il teratocarcinoma.